NO alla vendita di Suvignano. Il pensiero di Franco La Torre

 

 

Franco La Torre, membro del comitato scientifico dell’Associazione Nazionale Legalità e Giustizia, è il figlio di Pio La Torre autore della legge che introdusse il reato di associazione mafiosa ed una norma che prevedeva la confisca dei beni ai mafiosi.

 

Chi era Pio La Torre

Biografia di Franco La Torre

 

La decisione dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata di mettere in vendita l’azienda agricola Suvignano ha il merito di aver riproposto all’attenzione dell’opinione pubblica il tema della gestione delle aziende sottratte alle mafie.

Di cosa stiamo parlando? Ad oggi, secondo i dati della stessa Agenzia, sono 1078 aziende confiscate in via definitiva e, di queste, 363 solo in Lombardia e nel Lazio: questo dato evidenzia come le mafie investano i loro capitali criminali nel centro-nord del nostro paese. 12 in Toscana e, tra queste, l’azienda Agricola Suvignano, la più grande azienda agricola confiscata nel nostro paese, con un’estensione superiore ai settecento ettari di terreni. E’ una delle 92 aziende confiscate che operano nel settore dell’agricoltura.

Allo stesso tempo, è opportuno sottolineare che, mentre gli immobili confiscati, nella maggior parte, vengono riutilizzati a fini sociali, la quasi totalità delle aziende falliscono, vengono liquidate o sopravvivono malamente, in attesa di destinazione e, in 45 casi, sono state vendute.

Dentro ogni azienda ci sono le vite di lavoratori e il fallimento di queste aziende è il fallimento dello Stato, che non riesce a dare lavoro dignitoso a fronte della mafia che lo dava, magari in nero e senza diritti. Questo rende ancora più grave la situazione.

Certo, alle aziende confiscate vengono revocati i fidi bancari e le commesse, mentre crescono i costi del lavoro dignitoso e del rispetto delle regole e soffrono di una gestione non sempre all’altezza.

Questi problemi vanno affrontati e risolti, per non dare ragione alle mafie e per il bene dei lavoratori.

E’ un errore vendere i beni confiscati: questi sono il risultato primo dell’attività criminale, della violenza e dell’intimidazione mafiose per l’accumulazione di patrimoni e la loro confisca sancisce il fallimento e la sconfitta delle mafie, di quella cultura, che vediamo affermarsi con l’infiltrazione mafiosa e del sistema di potere, di cui le mafie sono parte.

I beni confiscati, quando vengono riutilizzati a fini sociali, non sono assimilabili a qualsiasi altro tipo di beni. Una casa, un terreno, un’azienda appartenuta ad un boss mafioso hanno una forte valenza simbolica sul territorio: rappresentano il suo potere criminale, basato sull’esercizio della violenza e dell’intimidazione e la loro restituzione alla comunità e il successivo riutilizzo a fini sociali sanciscono la sconfitta di quel potere e dei valori criminali, di cui si nutre.

Pensate se, una volta decisa la vendita dei beni, anche in un solo caso, questi fosse acquistato da un prestanome dei mafiosi: si otterrebbe lo straordinario effetto negativo di restituire la “robba”, il simbolo supremo della cultura e del potere mafiosa, e di vanificare il lavoro di magistrati e investigatori.

Cosa si può e si deve fare?

Bisogna che venga approvata la legge di iniziativa popolare “Io riattivo il lavoro”, già depositata in Parlamento, che individua le soluzioni giuste ai problemi che affliggono le aziende confiscate.

Bisogna accrescere l’efficienza e l’efficacia dell’Agenzia per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, dotandola di un organico e di risorse finanziarie adeguati e affiancandole una cabina di regia con la presenza delle associazioni antimafia, delle organizzazioni del lavoro e dell’impresa e degli enti locali, per rafforzarne l’operatività.

Bisogna estendere alle aziende la disciplina oggi dettata per i beni immobili e consentire allo Stato e agli Enti territoriali di acquisire a titolo gratuito le aziende confiscate.

Bisogna istituire un Fondo di rotazione, utilizzando le cospicue risorse monetarie confiscate, per finanziare le aziende che presentano concrete possibilità di rimanere sul mercato

Contro la vendita di Suvignano, la più grande azienda agricola confiscata in Italia, si sono espressi enti locali, magistrati, il sindacato e l’associazionismo ed è opportuno che l’ Agenzia annulli la decisione di vendita e si riprenda il percorso, avviato dal tavolo istituzionale presso il Ministero dell’Interno, con la Prefettura di Siena, la Regione Toscana, la Provincia di Siena e il Comune di Monteroni D’Arbia, che andava nella direzione di una sua restituzione alla collettività, salvaguardandone i posti di lavoro presenti.

A tal fine, auspico un intervento del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali e la collaborazione della Camera di Commercio di Siena, di Coldiretti, della Confederazione italiana agricoltori, di Confagricoltura e dell’Alleanza delle cooperative agricole.

Infatti, solo in presenza di una forte volontà condivisa, si potrà assicurare la ripresa del tavolo istituzionale, interrotto qualche mese fa, al fine di restituire alla collettività l’Azienda agricola Suvignano, moltiplicandone le potenzialità occupazionali e di sviluppo comunitario in termini sociali, culturali e di partecipazione democratica.

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