Libero Grassi
Ringraziamo Alessandro De Lisi, Direttore del Centro Studi Sociali contro le mafie Progetto San Francesco, che ci ha fornito questo documento e ci ha consentito di pubblicarlo sul sito della nostra Associazione
Quadro di Gaetano Porcasi
L’omicidio di Libero Grassi
di Alessandro De Lisi
Alessandro De Lisi, Direttore Centro Studi Sociali contro le mafie – Progetto San Francesco, è nato a Palermo, vive in Lombardia, giornalista, saggista interventista, esperto di sistemi sociali complessi. Da anni è impegnato nella lotta contro la mafia e nella promozione della memoria dei protagonisti “periferici” del novecento. www.progettosanfrancesco.it
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Via Vittorio Alfieri
Sempre nel cuore residenziale di Palermo, di fianco a una barberia, Il 29 agosto del 1991, alle 7.30 del mattino, all’ombra dei tigli viene assassinato Libero Grassi, imprenditore.
Grassi sognava una carriera diplomatica, ma proseguì l’attività di commercio di tessuti del padre antifascista, che lo aveva chiamato Libero in memoria di Giacomo Matteotti. Grassi voleva una Sicilia più simile al mondo industriale conosciuto in Lombardia. A Gallarate infatti aveva imparato il mestiere del tessile, tanto da creare una propria produzione di qualità: prima nacque la Sigma, poi a Palermo un punto vendita di camicie, maglieria, giacche e abiti; contemporaneamente sresceva la presenza politica di Grassi a Palermo. Libero Grassi militò in un partito sempre all’opposizione, nei repubblicani di La Malfa, anticomunista convinto e liberale. Tra le sue azioni politiche vi fu la costante avversione alla mafia. All’imprenditore Grassi toccò, come a moltissimi ancora, il ricatto del pizzo, della tangente che la mafia chiede ai commercianti per evitare un rogo, una rapina, un omicidio; Grassi, invece di pagare, scrisse. Nel gennaio del 1991 sul «Giornale di Sicilia» appare una pagina intera a firma sua, una lunga lettera ai mafiosi, a quel «geometra Anzalone» che chiedeva soldi alla Sigma, in cui il diniego è forte come una canzone popolare. La politica tacque e gli industriali lo additarono come un furbo che sperava di coprire i debiti con la pubblicità da eroe. Le associazioni di categoria tacquero e si preoccuparono per un’eventuale crescita delle tariffe del pizzo. La mafia gli ammazzò il cane, gli rapinò i salari degli operai, chiamò nottetempo il telefono di casa sua e lo minacciò. Grassi andò in televisione, con Sandro Ruotolo, con Maurizio Costanzo, con Michele Santoro. Scrisse ai giornali tedeschi. Oggi sarebbe contento dei comitati di giovani e mercanti, dei protocolli di Confindustria sulla legalità e magari parteciperebbe al Progetto San Francesco, ma quel mattino erano in tre sotto al tiglio. Gli altri, noi, eravamo altrove. Ammazzato Grassi, resta, ancora oggi, un foglio di carta incollato sul muro di fianco alla barberia, con una piccola macchia di vernice rossa tra le foglie sul marciapiede.
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