Giuseppe Fava

Ringraziamo Elena Fava, figlia di Giuseppe che ci ha fornito questo documento e ci ha consentito di pubblicarlo sul sito della nostra Associazione

Anche le foto sono state fornite da Elena Fava.

 

 

 


Quadro di Gaetano Porcasi

 

AcrobatPdf-PiccolaScarica l’articolo in formato PDF

 

 

I SICILIANI, di Giuseppe Fava.

Un disadorno e freddo scantinato in un paese alle falde dell’Etna. Un grande open space rettangolare. In fondo le rotative (due vecchie rotative piane acquistate in Svizzera dalla cooperativa Radar, con un finanziamento regionale), nella zona centrale, a metà dello spazio, il vasto tavolo della grafica per l’impaginazione dei menabò. Due o tre computer che stampavano direttamente il supporto per la fotocomposizione. Dall’altro lato, e lungo le pareti, i tavoli dei cronisti, e quello del direttore. La redazione de I SICILIANI era così. Si lavorava tutti insieme.

Ho un vivo ricordo della prima riunione di redazione. Tutti seduti in circolo, mio padre con l’immancabile sigaretta fra le dita, gli occhi brillanti, il sorriso un po’ sornione, che illustra il programma operativo del giornale nei minimi particolari, assegnando ad ognuno un compito. Non c’erano molti fondi, ma tante idee.

L’idea del mensile era nata quasi subito dopo il licenziamento di Giuseppe Fava dal Giornale del Sud.

Nel 1980, un gruppo di imprenditori catanesi ebbe l’idea di finanziare un nuovo quotidiano da contrapporre a La Sicilia, che dominava l’informazione a Catania. Affidano la direzione a Giuseppe Fava, assicurando che avrà piena libertà di scrivere! Fava organizza in breve tempo la redazione, forma i giovani cronisti che lo seguiranno entusiasti. Il Giornale del Sud è da subito irriverente con l’establishment della città. Comincia a parlare dei comitati d’affari che governano la città, delle amicizie fra politici e mafiosi, di mafia insomma. Un giornale ben lontano dagli obiettivi dei finanziatori che volevano farne uno strumento di pressione politica regionale per i loro interessi. Non poteva durare!

Atti intimidatori (una bomba carta esplosa davanti l’ingresso del giornale) e pressioni sempre più arroganti della proprietà volti a smorzare il tono degli articoli, non cambiano il pensiero di Fava che, senza ossequi né pudori, continua la sua strada.

L’11 ottobre del 1981 pubblica e firma il suo ultimo articolo come direttore del giornale. È un breve testo sull’etica del giornalismo, che rimane una pietra miliare del suo essere giornalista: Io ho un concetto etico del giornalismo…; un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la criminalità, impone ai politici il buon governo…; un giornalista incapace, per vigliaccheria o calcolo, della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare, le corruzioni, le violenze che non è stato capace di combattere…

Il giorno dopo è licenziato! È la risposta degli editori: noi alla verità non siamo interessati.

Fava non si arrende, con il cuore e lo spirito di un giovane, insieme con parte dei redattori, decide di creare un nuovo giornale.

Facciamo un giornale nostro, senza padroni? Tentiamo! risposero tutti.

La storia del mensile I Siciliani inizia così; un atto d’amore verso la città, una sfida nei confronti dell’informazione attuata dal quotidiano La Sicilia.

Ricordo mio padre entusiasta del suo progetto e, altrettanto entusiasti, ricordo i suoi ragazzi, che pendono direttamente dalle labbra, dalla mente e, soprattutto, dal cuore del direttore. La realtà della redazione è questa; un direttore ultracinquantenne, dotato di grande esperienza giornalistica, di passione civile e di grinta, e un gruppo di giovani spavaldi e appassionati come Fava, che lo avevano seguito nell’avventura dopo aver lasciato il Giornale del Sud.

In due mesi dopo è tutto pronto, il primo numero arriva in edicola in una fredda mattina di Dicembre. È subito esaurito; è necessaria una ristampa.

I Siciliani vengono avanti nel grande spazio dell’informazione e della cultura, nel momento preciso in cui il problema del Meridione è diventato il problema dell’intera Nazione…

Si apriva così l’editoriale del primo numero, con parole che erano già un manifesto; far della mafia l’occasione d’indagine giornalistica per capire e far capire le ragioni profonde del sistema di potere, la meccanica delle impunità.

La verità innanzitutto, sempre documentata. Il rigore della scrittura, la curiosità di capire il perché degli avvenimenti, imparare a mettere le parole una dietro l’altra in un articolo di cronaca, liberamente.

Il mensile diventa subito un caso giornalistico e politico nazionale; è libera informazione, non ci sono editori né partiti alle spalle.

Per la prima volta Catania legge delle collusioni tra mafia, politica e una certa classe imprenditoriale con interessi forti che si estendono sul territorio nazionale.

È una realtà difficile da accettare. Alla prima incredulità segue il tentativo di rimozione. Il quotidiano La Sicilia tuona contro questo mensile che osa diffamare la città, gli imprenditori che danno lavoro. La mafia a Catania non esiste, anzi la città è un’isola felice, afflitta sì da una comune piccola delinquenza, ma la mafia no (saranno le stesse parole che il sindaco Munzone, con tono fermo e arrogante, dichiarerà al funerale di Fava).

Il successo editoriale è enorme, il mensile raggiunge anche Roma e Milano, dove è sempre esaurito in poche ore. La redazione diventa punto d’incontro di giovani lettori affascinati, pieni di curiosità, di voglia d’imparare, che vogliono aiutare e, in qualche modo, condividere questa avventura.

I soldi, però, sono pochi, tante le cambiali, quasi inesistente la pubblicità, ma la libera informazione arriva puntuale ogni mese.

I Siciliani non fu solo giornale di grandi inchieste, accanto all’analisi spietata sui sistemi di potere. Conteneva anche ritratti d’umanità. Con vari pseudonimi, mio padre trovava sempre il modo di inserire suoi racconti, un brano teatrale, un ricordo buffo o grottesco della sua vita di cronista. Ogni storia lasciava sempre al lettore uno stimolo alla riflessione.

I mesi passano e il giornale è sempre più scomodo, esprime pienamente la pericolosità di una corretta informazione. Sino ad allora la mafia aveva ammazzato magistrati, politici, anche giornalisti, perché ciascuno di essi aveva rappresentato una sfida politica o una minaccia giudiziaria.

Giuseppe Fava non era tutto questo; la sua provocazione era la parola, la sua pericolosità derivava dalla forza delle sue idee, dalla capacità di far pensare il lettore, dalla voglia di cambiare le regole di quella società.

Quella voce va tacitata. L’ordine parte dall’alto, la mafia esegue!

Una serata umida di pioggia quella del 5 gennaio 1984; mio padre è solo in auto, posteggia davanti al Teatro Stabile. Sta andando a prendere una delle sue nipotine che recita Pirandello. Gli sparano prima che scendesse dall’auto; cinque colpi di una 7,65 alla nuca.

Ho voluto credere che sia morto con l’immagine gioiosa della bambina che calcava con grazia il palcoscenico.

Molte cose dopo quel 5 gennaio, ma questa è altra storia!

I Siciliani chiudono nell’autunno del 1986.

Nelle edicole siciliane continua a predominare La Sicilia; ma ci sono anche altre piccole testate, su carta e sulla rete. Altri giovani che continuano a leggere e imparare dagli scritti di Fava, che provano e vogliono fare questo mestiere con la schiena dritta. Non lasciamoli soli!

Elena Fava

FacebookTwitterGoogle+Condividi

Aggiungi ai preferiti : permalink.

I commenti sono disattivati