“Emanuela Loi” di Alessandro de Lisi
Ringraziamo Alessandro De Lisi, Direttore del Centro Studi Sociali contro le mafie Progetto San Francesco, che ci ha fornito questo documento e ci ha consentito di pubblicarlo sul sito della nostra Associazione
La valigia di Emanuela
di Alessandro De Lisi
Alessandro De Lisi, Direttore Centro Studi Sociali contro le mafie – Progetto San Francesco, è nato a Palermo, vive in Lombardia, giornalista, saggista interventista, esperto di sistemi sociali complessi. Da anni è impegnato nella lotta contro la mafia e nella promozione della memoria dei protagonisti “periferici” del novecento. www.progettosanfrancesco.it
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Quadro di Gaetano Porcasi
Ogni tanto qualcuno racconta, come nelle favole, che una volta, tanto tempo fa, la mafia era un’organizzazione neanche tanto male. Sono appassionati della retorica dei tempi andati, come quelli che inseguono i formaggi di un tempo, la musica di un tempo, le auto di un tempo, l’amore di un tempo. Legittima ricerca di un rifugio, per fuggiaschi consapevoli della fatica della modernità, del tempo presente, della responsabilità politica del presente.
Tuttavia chi racconta di un tempo di bontà legato alla mafia è un ignorante. Chi lo racconta non conosce o spera, così dicendo, di non disturbare troppo chi manovra il tram della quotidianità, altrimenti, con dispiacere certo, scoprirebbe che la mafia non è mai stata altro che un’organizzazione di uomini disonorevoli, una gigantesca associazione di assassini, una montagna imbarazzante di deiezioni sociali, culturali ed economiche. La mafia non è mai stata il club dei Robin Hood, contro i Borboni prima e poi contro lo Stato distratto, a favore dei cenciosi contadini poverelli: gli uomini del disonore hanno usato tutti i regimi per arricchirsi grazie alle povertà delle politica, non immaginando mai di essere rivoluzionari, di sostituire il potere ma di usarne tutti i benefici e le scorciatoie. A contrastare l’espansione del proprio potere, i criminali delle mafie hanno trovato l’opposizione concreta e reale di moltissimi lavoratori della polizia, di magistrati, di sindacalisti, di giornalisti e di cittadini molto attenti: tra questi una ragazza di ventiquattro anni, sarda, di Sestu.
Emanuela Loi stava preparando la valigia per le nozze, anzi le valigie. Nella cultura del Mediterraneo, le nozze sono un teatro di partecipazione, così estese ai parenti, agli amici, alle passioni e alle invidie di pochi, dei soliti scontenti. Un gran daffare tra Sestu e Palermo, sede di lavoro di Emanuela Loi. Come per i minatori, anche per Emanuela non contava molto la notte e il giorno, bensì il dentro e il fuori. Chi ha guidato o ha viaggiato in un’auto blindata riconoscerà per sempre la sensazione di attraversare un tunnel: questo clima di ansia è creato dalla velocità e dalla deformazione ottica dei vetri molto spessi. Come una navicella spaziale, la “blindata” traghetta gli occupanti dentro il male, i pericoli e la minaccia costante della specializzazione dei killer. Fuori – e prima dei viaggi a bordo delle Fiat blindate – Emanuela pensava all’amore, alla valigia per le nozze, alla casa, all’ironia obbligata delle bomboniere.
Anche in auto, operativa, Emanuela era uno strumento dello Stato contro il potere delle mafie. In Corso Pietro Pisani, a Palermo, in una zona laterale della caserma Lungaro della Polizia, c’era e ancora oggi resiste, il reparto scorte. Come in una liturgia si controllano le armi, si caricano i giubboni antischegge, si fa il pieno, si incastra la pistola d’ordinanza tra il sedile e il freno a mano perché non si sa mai, e si parte. Un armamentario utile in una guerra dichiarata, ma superfluo contro il terrorismo. Emanuela Loi è stata uccisa alla fine del tunnel, quando la navicella blindata si è fermata a tre quarti come a proteggere il Dottore e le piante dell’ingresso del condomino di via D’Amelio 19. Uccisa il 19 luglio del 1992, spezzata in due come una bambolina dal Semtex, esploso per cancellare Borsellino e chiunque altro nel giro di cento metri. La valigia delle nozze è rimasta a Sestu, aperta. A chiuderla provvederà l’amore e la giustizia, si spera.
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