Boris Giuliano

Ringraziamo la famiglia Giuliano che ci ha fornito questo documento e ci ha consentito di pubblicarlo sul sito della nostra Associazione

 

 

 

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Giorgio Boris Giuliano nacque a Piazza Armerina, in provincia di Enna, il 22 ottobre 1930, terzo di quattro fratelli.

Il padre, Salvatore, era un Sottufficiale della Marina Militare, e per questo Giorgio Boris ed i suoi fratelli trascorsero la loro infanzia tra la loro città d’origine, Piazza Armerina, e Bengasi in Libia, che allora era una colonia italiana.

Quando la guerra volse al peggio, la famiglia Giuliano tornò in Italia e, sotto i bombardamenti, si stabilì a Messina, dove Giorgio Boris frequentò il liceo classico e l’università, laureandosi in legge nel 1956.

Tra le sue grandi passioni giovanili vi erano la pallacanestro e, malgrado le ristrettezze economiche del dopoguerra, i viaggi, tanto che, per permettersi un lungo soggiorno a Londra, Giorgio Boris trovò un impiego come barista in un caffè di Soho. Tornò a Messina con un inglese perfetto, raro per quegli anni, che a volte utilizzava per organizzare partite di basket con i marinai delle navi americane che attraccavano nel porto. Raccontava suo fratello Emanuele che, grazie a ciò, fu uno dei primi ragazzi a Messina ad avere un paio di scarpe da basket “All stars”, regalatogli proprio da un marinaio americano.

Giorgio Boris Giuliano aveva un carattere allegro, curioso, socievole ed estroverso, che lo ha accompagnato per tutta la sua breve vita, anche nei momenti più difficili.

Fu sempre in quegli anni di Messina che conobbe sua moglie, Maria, con cui si sposò nel 1961. Dopo il matrimonio la coppia andò a vivere a Milano, dove Giorgio Boris, grazie anche alla sua conoscenza dell’inglese, aveva trovato un impiego in un’azienda di materie plastiche.

Tuttavia, scelse di fare il concorso per Commissario di Polizia e, quando lo vinse, rinunciò ad uno stipendio certamente superiore ed andò a Roma a frequentare un corso di sei mesi, al termine del quale, nel 1963, fu assegnato alla Questura di Palermo e, dopo qualche tempo, su sua insistenza, alla Squadra Mobile.

Infatti, nel giugno di quell’anno, sette persone, tra cui poliziotti e carabinieri, furono uccise a Ciaculli (PA) dall’esplosione di una Giulietta carica di tritolo e Giorgio Boris Giuliano, giovane ed entusiasta, voleva fortemente dare il suo contributo per quella che cominciava ad essere una vera e propria guerra mafiosa contro lo Stato.

Giorgio Boris Giuliano rimase alla Squadra Mobile di Palermo per tutto il resto della sua vita, cioè sedici anni, gli ultimi tre dei quali come dirigente. Anni in cui fu testimone del mutamento radicale della mafia, che già cominciava ad entrare con prepotenza nell’edilizia, e dei primi segnali del suo attacco allo Stato: la strage di Ciaculli, l’uccisione del Procuratore della Repubblica Scaglione, dei giornalisti Mauro De Mauro e Mario Francese, del Colonnello dei Carabinieri Russo, del Segretario della DC Reina; ma anche di due suoi uomini, la Guardia Cappiello e il Maresciallo Aparo.

A tutti questi casi dedicava anima e corpo, e la sua enorme carica umana gli permetteva di stabilire una grande empatia con tutti coloro con cui aveva a che fare, a partire dai familiari delle vittime; ad esempio con Junia, la figlia minore del giornalista De Mauro, rapito il 16 settembre 1970 e mai più ritrovato, si creò una tale amicizia che la ragazza di tanto in tanto frequentava casa Giuliano dove giocava con i tre bambini del Commissario.

Ma soprattutto Giuliano, con la sua passione per i viaggi e la conoscenza perfetta della lingua inglese, fu un pioniere della cooperazione internazionale tra Polizie, allora in stato embrionale; fu il primo italiano, nel 1975, a frequentare per tre mesi la National Academy del F.B.I. a Quantico, in cui oggi gli italiani vengono regolarmente invitati; e grazie a tutto ciò, fu forse il primo fra i primi a comprendere che la mafia, utilizzando le tradizionali rotte del contrabbando di sigarette, aveva assunto un ruolo centrale al livello internazionale nel traffico di eroina, che importava dai Paesi dell’est ancora sotto forma di morfina-base, raffinava in Sicilia ed inviava in nord-America.

Questa intuizione epocale, quasi visionaria, traspare chiaramente dai rapporti giudiziari scritti da Giorgio Boris Giuliano: “..è emerso, per come da tempo sospettato, che la mafia siciliana è rientrata nel traffico internazionale di stupefacenti con larga disponibilità di uomini e mezzi, sfruttando, soprattutto, i canali delle grandi reti contrabbandiere di tabacchi lavorati esteri che operano nel sud-Italia e nelle isole sotto la ferrea guida di grossi nomi della mafia”.

Ma questa intuizione, per anni, non fu adeguatamente recepita e compresa, complice la pavidità di alcuni, ma anche una cultura, una mentalità ed anche una legislazione assai diverse da quelle di oggi; sul punto vale la pena di ricordare ciò che scrisse alcuni anni dopo, nel 1984, il Giudice Istruttore Paolo Borsellino nell’ormai storica sentenza ordinanza di rinvio a giudizio del primo “maxiprocesso”: “Deve dunque ascriversi ad ennesimo riconoscimento dell’abilità investigativa di Boris Giuliano se quanto è emerso faticosamente solo adesso, a seguito di indagini istruttorie complesse e defatiganti, era già stato da lui esattamente intuito e inquadrato diversi anni prima. Senza che ciò voglia suonare critica ad alcuno, devesi riconoscere che se altri organismi statuali avessero adeguatamente compreso ed assecondato l’intelligente impegno investigativo del Giuliano, probabilmente le strutture organizzative della mafia non si sarebbero così enormemente potenziate e molti efferati assassinii, compreso quello dello stesso Giuliano, non sarebbero stati consumati”.

Oltre a tutto questo, nel suo ultimo anno di vita, Giorgio Boris Giuliano, con i suoi uomini, ricostruì un importante canale di riciclaggio di denaro sporco a partire da alcuni assegni trovati in tasca ad un mafioso ucciso, Giuseppe Di Cristina; attribuì una sanguinosa rapina in banca ad esponenti di alcune tra le più importanti famiglie mafiose; individuò il covo di un mafioso latitante in cui c’erano, tra le altre cose, alcuni chili di eroina.

Questi “balzi in avanti” che Giorgio Boris Giuliano seppe fare nelle sue indagini, come si è visto non adeguatamente assecondati da alcune istituzioni, furono invece ben compresi dai mafiosi, che non tardarono a considerarlo, come tanti altri prima e dopo di lui, come un ostacolo da eliminare.

Fu quindi ucciso in un bar sotto casa, a Palermo, sabato 21 luglio 1979, poco prima di andare in ufficio. In due diversi processi, sono stati condannati all’ergastolo sia i mandanti, sia l’esecutore del suo omicidio.

Malgrado la grande importanza del suo lavoro e le sue eccezionali doti di investigatore, nella mente di coloro che hanno lavorato e vissuto fianco a fianco con Giorgio Boris Giuliano è rimasto soprattutto impresso il suo spessore umano: era un uomo allegro e generoso, che ha sempre saputo distinguere tra un vero criminale e un debole; il suo funerale era gremito da migliaia di persone comuni, dei quartieri popolari, che ricordavano la sua capacità di aiutare gli ultimi, anche quando magari vivevano ai margini della legalità perché si trovavano in uno stato di bisogno. Non era raro che, quando una Volante trovava un bambino che si era perduto, Giuliano lo portasse a casa a giocare con i propri figli perché non rimanesse in Questura mentre se ne cercavano i genitori.

E’ insomma un esempio di come si possa essere un grande poliziotto senza dimenticare di essere un uomo.

La famiglia Giuliano.

 

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