“Bilancio di un viaggio” di Laura Lippi
Sette giorni sono passati dal mio rientro in Toscana dopo l’intenso viaggio in Sicilia. E sette giorni ci sono voluti perché riuscissi a metabolizzare tutto quello che ho visto, ascoltato, vissuto, imparato. Prima che riuscissi a scrivere, o almeno provassi a farlo, ciò che è stato questo viaggio fra Palermo e l’entroterra siciliano.
Una prima settimana come coordinatrice di un campo di lavoro alla Cooperativa Lavoro e Non Solo di Corleone: è sempre un’emozione forte la vita in comunità, in continua condivisione di spazi e idee, cercando di impiantare nei ragazzi il seme forte della legalità e una nuova idea di paese. Metterli di fronte a una scelta di responsabilità non solo rispetto all’antimafia in senso stretto ma anche, e soprattutto, rispetto al modo di cui si decide di vivere la propria vita: favoritismo, legge del più forte, raccomandazioni oppure meritocrazia, solidarietà, giustizia sociale.
Ma mi muovevo comunque in un terreno conosciuto: la Cooperativa è per me una seconda famiglia, Corleone una seconda casa dove, dal 2006 a oggi, ho imparato a muovermi. Ho imparato ad apprezzarne la bellezza e le contraddizioni, a trovare esempio e appoggio in tanti amici e a vedere in alcune persone ciò che io non sono e che non vorrò essere mai.
E’ la seconda settimana che ha di nuovo mescolato le carte, o anzi, ha rilanciato il mio modo di vivere questa battaglia per la legalità e la giustizia, battaglia che dovrebbe essere, a mio avviso, quella di ogni italiano. Una battaglia nelle piccole cose, nelle scelte quotidiane. Come diceva Rita Atria “Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarsi.”
Io ed Emiliano Poli siamo partiti con una macchina a noleggio, una videocamera, un microfono e tanta buona volontà, con la voglia di fare un buon lavoro, di raccogliere storie, immagini, voci, parole e renderli un piccolo documentario. Oggi mi rendo conto di aver soprattutto imparato ad ascoltare, a capire, a entrare in una realtà che avevo letto sui libri. E questo grazie a tutte le persone che abbiamo incontrato lungo la strada, tutte, nessuna esclusa. Abbiamo condiviso momenti con tanti familiari di vittime: genitori di poliziotti, figli di imprenditori onesti, fratelli di bimbi uccisi mentre giocavano in strada e tanti, tanti altri; abbiamo ascoltato i racconti di testimoni di giustizia, di attivisti, di giornalisti in prima linea, di giudici e rappresentanti delle forze dell’ordine.
..Alcuni di loro erano inizialmente un po’ diffidenti. Allora eravamo noi a raccontare per primi la nostra storia: due volontari di una neonata associazione no profit, entrambi con un passato nel volontariato, che con pochi mezzi e un viaggio affrontato a proprie spese si propongono di raccontare delle storie e di divulgarle. E così, piano piano, si sgretolavano le barriere e le distanze, e ci si accorgeva di essere dalla stessa parte, dallo stesso lato della barricata. Ci hanno parlato delle loro esperienze e del loro vissuto. E ogni storia non è solo una vicenda, un insieme di fatti, ma è il pezzo di un puzzle, una tessera che mi aiuta a ricostruire il mosaico della Sicilia degli ultimi 50 anni, nel bene e nel male.
In alcuni casi, a videocamera spenta, le storie si arricchivano di particolari, di colori, di nomi, che comprendo non si vogliano divulgare. Rispetto il dolore che a volte prende il nome di paura, altre volte di ferita lontana ma ancora troppo dolorosa.
E così, a una settimana da quel volo Palermo-Pisa, mi trovo con questo grande mosaico di cui sto rimettendo a posto i pezzi e, insieme ad Emiliano, con ore di immagini, files audio e video da sbobinare, rivedere, montare. Perché anche chi non ha avuto modo di percorrere con noi questa lunga strada possa vedere il puzzle completato, un’immagine più chiara fatta di tante parti, di tante piccole e grandi storie, molte delle quali sconosciute ai più. Perché oltre ai fatti di sangue più tristemente famosi, oltre a Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa, Chinnici e tanti altri nomi noti che ancora oggi mi fanno sentire orgogliosa del mio paese, ci sono tante storie che non hanno avuto nessuna eco. Ed è proprio questo che vuole cosa nostra: cancellare la memoria, far sparire il ricordo, annullare le persone, vuoi con la lupara bianca, vuoi distruggendone i simboli, le targhe commemorative o anche solo una foto su una tomba. Per questo tutti i nomi che abbiamo sentito li dobbiamo far conoscere, dobbiamo dare voce a chi voce non ne ha, per mantenere viva la memoria, per non voltare la testa ma indicare la strada, parlare, per fare aprire gli occhi.
Questi nomi li dobbiamo urlare in faccia a chi non li vuole sentire.