Antonio Vairo
Ringraziamo Concetta Vairo, figlia di Antonio, che ci ha raccontato la storia di suo padre.
La memoria va alimentata
di Chiara Barresi
Quando si parla di vittime di mafia la testa subito visualizza Falcone, Borsellino, agenti di scorta, insomma una immensa foresta di persone che hanno fatto una scelta precisa mettendoci la faccia, il cuore, e la vita. Ma troppo spesso si dimentica che esiste un sottobosco altrettanto ampio e fitto, a cui appartengono quelle persone che per i subdoli incroci della vita la mafia se la vedono arrivare addosso come una frana improvvisa. E’ per questo che oggi la nostra Associazione ricorda Antonio Vairo, raccontandolo attraverso le parole della primogenita Concetta.
Antonio nasce in una famiglia semplice, in cui non c’è possibilità di andare a scuola perché se non si lavora fin da bambini non arriva il pane in tavola, ma grazie alla quale apprende fin da subito i valori dell’onestà, della lealtà e della responsabilità; la stessa responsabilità che lo ha portato prima alcuni anni in Germania con la famiglia a fare lo spazzino per dare alla moglie e alle figlie un futuro più solido, e poi a tornare a casa, a Napoli Capodichino, a vendere il pesce con il suo “triciclo”.
Una vita normale, fatta di sacrifici per permettere alle figlie di crescere e, vedendole poi sistemate, ritirarsi in pensione per godersi con la moglie i suoi nipotini; le sue giornate scorrono così, nel suo quartiere, nella quotidianità che è la sua sicurezza.
La stessa sicurezza che il 23 gennaio del 2003 lo fa andare dal barbiere, telefonare alla moglie per discutere i dettagli del pranzo, fermarsi al circolo per bere una bibita e scambiare qualche parola. E’ qui, abbracciato dal suo quotidiano, che Antonio ne viene strappato, trafitto alla testa dai proiettili di una pistola tanto criminale quanto vigliacca da colpirlo alle spalle. La viltà ha ucciso Antonio, perché se i suoi assassini avessero avuto il coraggio di affrontarlo a viso aperto si sarebbero resi conto che non era lui il loro obiettivo.. E le indagini, inconcludenti e condotte con superficialità, porteranno poi ad archiviare facilmente il caso come uno sfortunato scambio di persona nell’ambito di un regolamento di conti, e a quantificare il vuoto lasciato alla famiglia in una somma di denaro.
Ma il prezzo,per Concetta e la sua famiglia, è certamente più alto:la compagna di una vita che si è sentita persa, derubata del piacere di condividere con Antonio tutto quello che avevano costruito in 50 anni di vita insieme, le figlie e i nipoti privati del punto di riferimento. Tutto questo, nessuno si prende mai il disturbo di considerarlo, a partire dalle Istituzioni.
Sono innumerevoli le manifestazioni in cui “quelli che contano” si adoperano per tenere, giustamente, viva la memoria delle vittime eccellenti, nell’illusione di esserne permeati per un momento del prestigio e del valore, mentre troppo spesso dimenticano, se non ignorano, coloro che non hanno compiuto imprese pubblicamente ma ugualmente sono stati travolti dalla frana mafiosa, come se ci fossero morti di serie A e di serie B, e di fatto non permettono neanche alla famiglia di ricordare.
Finora Concetta è stata aiutata solo da persone disinteressate, vittime come lei e impegnate sul campo (e mai davanti alle telecamere) nella lotta alla criminalità, che credono in quello che fanno e che facendo conoscere la storia ad altre persone come loro hanno fatto sì che questo diritto alla memoria non venisse perso. E’ così che anche noi dell’ANLG abbiamo potuto contattarla e aiutarla nel divulgare il suo messaggio: “mi batto affinché la memoria di mio padre vada avanti, e ogni persona che ha perso un proprio caro, ascoltando la nostra storia, trovi a sua volta la forza per farlo ricordare.”
Passaparola.
Chiara Barresi
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